17.
Quello
che "feci".
Bene, ci siamo. Il pullman parte dalla piazza alle 8
di sera, macineremo 1300 km di notte per essere a Bourgueil
domani mattina. L’idea dell’assessore a checazzoneso
di gemellarci con un villaggio della Loira aveva coinvolto un po’ tutte le
associazioni paesane. La Coldiretti con i vignaioli in prima fila, i
commercianti, varie associazioni sportive, l’immancabile parroco con rosario
di donne gaudenti come ragazzine al concerto dei Duran Duran
ed infine anche il nostro Progetto Giovani. Io e Federico siamo stati scelti come responsabili barando
platealmente sulla nostra conoscenza della lingua francese. Quando si
accorgeranno della nostra difficoltà a distinguere cavalli e capelli sarà troppo tardi per mandarci indietro. La notte è
pesantissima. Manco una ragazza con cui pomiciare
nell’ultima fila che abbiamo requisito con atteggiamento di puro nonnismo.
L’orribile sequenza di canzoni prese in ordine alfabetico dal canzoniere
scout viene in un paio d’ore sfumata da sonore russate e fluidi mefitici di
anziani prolassati. In realtà sono quasi grato al reparto geriatrico in quanto siamo arrivati alla “L” e nel canzoniere si apre
l’abisso Lolli. Comunque è un incubo, anche se con Fede ridiamo molto, ma
forse è l’effetto dei gas. E’ novembre, un mese orribile per viaggiare. La
nebbia ci accompagna per tutta la pianura padana e, anche se ci lascia in
pace nel valicare le alpi, si fa ritrovare all’altezza di Lione. La Francia
fuori dalle città è un susseguirsi di nulla punteggiato da paesini in
lontananza e centrali nucleari. La noia mortale la
passo fantasticando sulle ragazze francesi che per me sono tutte un mix di Lio e Sophie Marceu .
Finalmente la fine del viaggio. Sulla piazza ci aspetta il comitato di
benvenuto. Il sindaco, un ometto insignificante, la banda e
altri figuranti infreddoliti. Mi sembra di essere sul pullman di Don
Camillo appena arrivato in Russia. Tra le personalità spicca una signora
corpulenta e sorridente dal collo esile e con una pettinatura cofanata tardo anni 70. E’ l’assessore a jenesaispasquecass che ha caldeggiato
il nostro incontro. Madame Jean, immediatamente ribattezzata con un più
calzante Madamigian, ha la sensibilità di
indirizzarci subito alle nostre famiglie di accoglienza e ci dà appuntamento al pomeriggio per una breve visita della
città. Monsieur Picardeau
è un podologo che vive in una casa tardo ottocento con la moglie pittrice. Io e Federico non andiamo a genio a nessuno dei due, ma in
fondo non è che ce ne importi molto. Alle due, dopo aver pranzato con
formaggio fuso, formaggio alla piastra e vari formaggi di capra, pecora e
bovino, ci facciamo trovare al rendezvous.
Il paese sulle prime piace, casette bianche con tetti neri di ardesia, bei
giardini curati da anziani che ci salutano. Poi giri l’angolo e vedi casette
bianche con tetti di ardesia e bei giardini con vecchietti che ci salutano.
Per cambiare qualche casa ha un giardino che fa cagare, ma il vecchietto
salutante è sempre incluso nel pacchetto. Nessun giovane. Il paese mi inquieta. Sulle prime mi faccio fuorviare da film tipo
il villaggio dei dannati o non aprite quella porta. Poi la figlia di Madamigian, mi spiega che il sonnacchioso borgo è stato
acquistato per metà da pensionati inglesi che si preparano al trapasso in un contesto pittoresco. La nostra presenza in loco come
Progetto Giovani è necessaria quanto un servizio per
fonduta nella lista nozze. Ormai è sera. Il ristorante locale ha una capienza
limitata, non ha mai visto più di 6 clienti
contemporaneamente, se si esclude il periodo dell’occupazione nazista, quindi
l’amministrazione ha preparato una cena conviviale nella palestra del centro
giovanile che è stato riaperto in nostro onore dopo 28 anni. La cena è
accettabile e devo dire che come cucinano il formaggio i
francesi non lo cucina nessuno. Durante la pausa tra il supplì al formaggio e
la caprese di bufala (gradito omaggio tricolore apprezzato finché non abbiamo
colto l’ironico senso della parola “bufala”) il sindaco comincia ad elencare tutte le associazioni che tanto si sono
adoperate bla bla. Nel giro di 10
minuti siamo fuori in 65-70 a fumare. Dopo il caffè (ah ah,
caffè!) tutti a nanna. La mattina dopo giro enogastronomico
per le vigne e per i vari stabilimenti caseari con relativi assaggi dei
formaggi locali.
Ora:
Tutti sapete sicuramente delle scarse o pressoché
nulle capacità lassative del formaggio. Aggiungete a questo una personale
idiosincrasia per tutte le tazze del water che non siano quella
di casa mia e potrete immaginare il penoso stato di costipazione in cui mi
stavo ritrovando. La situazione degenerava, durante le visite e i pranzi il mio colorito variava in modo camaleontico dal
bianco funebre, al rosso paonazzo fino al blu ematoma. Il tutto però veniva visto come una mia fenomenale capacità di rendere
omaggio alla bandiera francese. Nessuno capiva il mio dolore, tranne il
povero Federico che mi sosteneva, seppur a distanza durante le crisi
aerofaghe. Poi, il pomeriggio del terzo ed ultimo
giorno, quasi evangelicamente, ecco compiersi il destino. Picardeau
si sveglia di buon mattino e va fino alla non distantissima costa normanna a
comprare ostriche. Ci raduna in giardino, con maestrìa
apre ad una ad una le valve e “allez
allez” ci invita a mangiarle. Il viscido e simil catarroso mollusco ha un
aspetto osceno. In una mano è pronto un bicchiere di chablis. Pensando alle
cappe sante mi scende una lacrima e mi preparo come un mangiatore di spade a
farlo cadere direttamente nello stomaco evitando qualsiasi contatto con le
papille gustative. La reazione è immediata e violenta. Il mollusco ed il vino mixati smuovono le mie viscere richiamando il
mio corpo ai suoi doveri. Il giorno dell’evacuazione è alfine arrivato. Un
rapido excusez moi e sono
nel bagno. Di fronte al water uno specchio. Ho un espressione
dipinta sul volto che ritroverò solo molti anni dopo, in occasione delle
crisi di stipsi dei miei figli. E’ fatta! Mi giro per un’umana quanto
infantile soddisfazione personale e lo vedo. Un terribile e
rigido mostro oscuro dalle fattezze fuori norma. Tiro lo sciacquone ed il mostro, come infido anaconda si acquatta nel sifone.
Poco male. Aggiungo carta igienica e armato di
scopino ripeto il lavaggio. L’anaconda fagocita la carta e non permette il
deflusso. Me ne esco con un “Stronzo di merda!”, ma esso sembra rispondermi
“Sì?”. La frustrazione per il poco adatto insulto è pari al terrore di vedere
esondare il contenuto sul parquet sgangherato della vecchia casa. Mi rilasso.
Ok, facciamo la doccia e poi ci pensiamo. Fischietto tranquillamente
lavandomi e aspettanto il lento ritorno al livello
originale. Niente da fare. Il livello è un po’ sceso, ma non abbastanza. Ed
ecco l’errore. Maledetta la mia mano che tira nuovamente l’acqua e maledetto
lo stronzo che sembra ridere sotto la superficie. E’ il panico! Chi dice che
sotto pressione il nostro cervello riesce ad accelerare le sinapsi è
dannatamente nel giusto. Nel tempo in cui l’onda anomala scavalca il bordo
della tazza io ho già individuato un armadio, l’ho
aperto, ho razziato asciugamani, un paio di vestaglie con pizzo provenzale
(mi pare persino di essermi soffermato ad apprezzarne la squisita fattura) e
vari stracci. Li depongo sul pavimento come fossero i messicani nella
battaglia di Alamo. Niente fortunatamente passa la
diga. Sono sovrappeso, sudato e nudo. E di liì a
poco dobbiamo andare ad un concerto a Chinon. Vedo un appendino in
fil di ferro. Con la forza della disperazione lo apro e lo modello a mo di sonda e, novello Enrico Toti, assalgo la tazza
all’arma bianca. Finalmente il mostro è sconfitto. Il rumore di riflusso del
sifone suona come un notturno di Chopin. Io sono sfatto, sudato e nuovamente
puzzolente. “Oh, che cazzo stai facendo? Di sotto si sentono rumori imbarazzanti!” Federico! Amico
mio! “Fede, esci e vai in strada. Vai sotto la
finestra di questo bagno e aspetta. Non fare domande..”
Un minuto dopo mi fa un fischio. Apro e getto dalla finestra tutti gli
stracci e gli altri manufatti tessili avvolti nell’asciugamano più grande.
"Buttali in un cassonetto!" In strada dei vecchietti guardano la
scena. Fede li scansa e si infila in un vicolo.
Ritorna poco dopo con il pollice alzato. Mi ricompongo, mi vesto ed esco.
Saluto evitando gli sguardi dei padroni di casa e mi dirigo verso il pullman
con Federico e le nostre cose. Ripartiremo per l'Italia dopo il concerto.
Posso solo immaginare i commenti che di lì a poco avrebbero fatto nel paesino
scoperto il simulato furto di biancheria. Uno sarà sicuramente “Italiens de merde” . Nel caso
specifico non posso che concordare.
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